Ansia sociale: quando stare con gli altri fa sentire esposti, giudicati, inadeguati
Un vissuto più comune di quanto si pensi. E più trasformabile di quanto sembri
Non è semplice spiegarlo a chi non lo prova.
A volte non è nemmeno semplice riconoscerlo.
Ma per chi vive l’ansia sociale, anche un invito a cena può diventare un ostacolo, un conflitto interiore. Una fatica.
“Parlerò troppo? Troppo poco?”
“Sembrerò ridicolo/a? Sarò interessante? Sarò di troppo?”
Chi ne soffre spesso riesce a lavorare, a portare avanti una vita piena. Eppure, i contesti relazionali sono attraversati da una tensione costante. Il corpo si irrigidisce, la mente anticipa scenari spiacevoli, la voce sembra diversa, la testa si svuota.
Oppure si pensa troppo, dopo: ogni dettaglio viene riletto, rianalizzato, come se ogni gesto potesse essere stato “sbagliato”.
Che cos’è davvero l’ansia sociale
Nel mio lavoro clinico non mi interessa etichettare con diagnosi rigide, ma capire come un vissuto prende forma, nel contesto della storia di vita di quella persona.
L’ansia sociale non è solo timidezza. Non è pigrizia, né una “mancanza di carattere”.
È spesso una sensibilità che si è trasformata in allarme.
Una paura sottile ma profonda di non essere all’altezza, di essere osservati, giudicati, esclusi.
A volte ha radici in esperienze infantili o adolescenziali in cui l’espressione di sé è stata fraintesa o zittita.
Altre volte emerge più tardi, quando la persona entra in contesti nuovi e si sente improvvisamente “troppo visibile”.
Ma sempre, alla base, c’è un vissuto ricorrente:
“Gli altri vedono qualcosa di me che io non riesco a controllare.”
Come si presenta nella quotidianità
L’ansia sociale può assumere molte forme. Alcune più esplicite, altre più nascoste:
difficoltà a parlare in pubblico, anche in riunioni informali;
paura di arrossire, sudare, bloccarsi;
tensione prima di eventi sociali anche semplici;
evitamento di situazioni in cui si potrebbe essere “osservati” (come mangiare in pubblico o entrare in una stanza già piena);
disagio nei momenti di silenzio o contatto visivo prolungato;
eccessiva preoccupazione dopo un incontro: “cosa avranno pensato di me?”
Col tempo, questo vissuto può portare a evitare relazioni potenzialmente significative, oppure a non sentirsi mai davvero sé stessi con gli altri. E tutto ciò genera solitudine, ma anche vergogna per quella stessa solitudine.
Come lavoro con chi vive questo tipo di esperienza
L’approccio che utilizzo non punta a “correggere” i comportamenti, ma a entrare in contatto profondo con l’esperienza vissuta.
Non c’è nulla da “guarire”. C’è qualcosa da ascoltare meglio, da accogliere, da rimettere in movimento.
La persona viene aiutata a:
riconoscere i contesti in cui l’ansia si attiva, senza giudicarla;
ascoltare il significato di quel disagio, nella propria storia e nel proprio corpo;
ricostruire un’immagine di sé più gentile, più fondata, meno fragile rispetto allo sguardo degli altri;
fare esperienza, gradualmente, di relazioni in cui si possa stare senza dover dimostrare, né nascondere.
È un lavoro che unisce parola, ascolto, esercizi di consapevolezza e in alcuni casi, se utile, piccole esperienze guidate (in presenza o tra le sedute).
Non sei solo, anche se spesso ti sembra così
Chi soffre di ansia sociale tende a pensare:
“Sono l’unico/a che si sente così.”
“Gli altri sono spontanei, liberi. Io no.”
Ma la realtà è che molte persone sensibili, intelligenti, attente agli altri vivono questa fatica. E spesso sono proprio loro ad aver bisogno di uno spazio dove potersi raccontare senza sentirsi sbagliate.
Se ti riconosci in queste righe e se senti che questa ansia ti impedisce di essere pienamente te stesso/a con gli altri, forse è il momento di prenderla sul serio.
Ricevo in studio e online, in uno spazio dove non c’è bisogno di essere pronti, né “sistemati”.
Solo disponibili ad ascoltare, con rispetto, cosa vuole dirti questa parte di te.
Anche dietro la paura, può nascere un modo nuovo di abitare le relazioni.